SAN GAVINO
In questi frangenti da recessione prossima ventura, c’è chi lavora nei campi e non si lamenta. Io vivo di agricoltura, ovviamente non navigo nell’oro, ma il mio reddito arriva per intero dalla buona terra che coltivo, dice Stefano Curreli passeggiando a bordo risaia nelle campagne di San Gavino, zona Molas, provincia verde del Medio Campidano, sullo sfondo il cocuzzolo di Arcu Entu.
Ma non è uno zappaterra punto e basta. È un signore asciutto da spot in tivù, viso cotto dal sole, occhiali da liceale. Tra un anno compirà cinquant’anni. Caso più unico che raro in Sardegna, è riuscito nel miracolo di chiudere la cosiddetta “filiera” agroalimentare. Dal campo alla tavola di casa. Ha “verticalizzato”, direbbero gli studiosi, creando “valore aggiunto” alla materia prima, a un semino bianco. Proprio come hanno saputo fare col latte solo i nostri caseifici e con l’uva le cantine sociali. Un altro caso virtuoso da Sardegna delle eccezioni in un’isola che tutto importa. Trasformazione. Dopo aver girovagato nella Pianura padana e in Spagna, Stefano lascia le vecchie colture di papà Nino (grano, fave e foraggere varie) e si ricicla in risicoltore. Non pensa di competere certo con i grandi produttori del Piemonte o della Lombardia. Non pensa neanche di ingrandire l’azienda. E spiega: Sono giorni in cui la cautela negli investimenti è consigliata.
Però il riso non solo lo produce, ma lo trasforma. Ne vendo sfuso anche alle grandi aziende del Paese ma la maggior parte del raccolto la trasformo io, nel piccolo laboratorio creato al piano terra della mia casa, con i miei collaboratori. Il valore aggiunto lo si ha nella trasformazione fino a vedere il tuo prodotto allineato negli scaffali dei supermercati. È una bella soddisfazione competere con nomi blasonati della grande industria. Spesa. Il piacere di comprare cose di casa tua arriva proprio da chi fa la spesa e – tra l’aglio del Vietnam e le pere argentine – trova a disposizione un po’ di Made in Sardinia in un oceano di merci targate Oltretirreno, Oltralpe, Oceani compresi.
Questo riso – ben confezionato in buste normali o nelle confezioni del precotto – è, come si legge nelle etichette, “naturalmente sardo” e – per garanzia dei consumatori – c’è anche la conferma di un “prodotto confezionato dall’azienda agricola di Stefano Curreli, San Gavino Monreale”. E così un paesone del Campidano di Cagliari prima noto per le sue ciminiere sotto le quali si lavoravano i minerali di zinco e di piombo, oggi eccelle nella coltivazione di una pianticina che pare sia nata ottomila anni fa nell’isola di Giava (Indonesia) e che abbia fatto la sua comparsa in Italia nel 640 dopo Cristo. Attorno ai nuraghi, epicentro l’Oristanese. San Gavino è il buon ultimo. Ma – con Curreli – è l’unico che ha invertito la tendenza.
“Chiude” il processo. Dal terreno al piatto. Con tutti i condimenti del caso. A bottega – per la prima volta dopo novant’anni dall’introduzione del riso nell’isola – trovate pronti da preparare in casa il risotto al radicchio (345,3 chilocalorie per un etto di prodotto), allo zafferano naturalmente di San Gavino, alla boscaiola (riso Carnaroli, prezzemolo, cipolle, melanzane, pomodori rigorosamente sardi), il riso primavera e quello ai funghi porcini. Nessun prodotto – dettaglio importante per diete e salute – contiene glutammato, né ha conservanti o coloranti. Abbiamo seguito le indicazioni dei nutrizionisti e le abbiamo rispettate al millesimo, dice Curreli. Ma c’è anche un altro prodotto da banco: le gallette di riso integrale, confezioni da standard europeo di 67 grammi, in due tipi (con o senza sale nella misura dell’uno per cento). Alla confezione delle gallette lavorano Gabriella e Paola: Sono ottenute dalla cottura naturale del riso integrale, ricco di fibre. Non contengono lievito, né glutine, né ogm. Aggiunge: Ne prepariamo 180 confezioni al giorno, consentono di aumentare il fatturato, ogni euro in più è il benvenuto. Tracciabilità. Imperativo categorico: Garantire il consumatore. In ogni nostro prodotto è garantita la sua tracciabilità: dove nasce, come si confeziona.
Tutto, lo dico con tanto orgoglio, è griffato Sardegna. La risaia “Core Molas” di Curreli si estende su cento ettari irrigui di famiglia. Aveva iniziato nel dopoguerra il padre Antonio. Lavorava in asciutto, un po’ di terra a grano, un vigneto, diversi tipi di foraggio e poi, negli anni ’80, anche la barbabietola da zucchero. Erano anni nei quali la Sardegna aveva due zuccherifici, uno a Oristano, l’altro a Villasor con l’Eridania. Cadono anche quelle ciminiere. I contadini che avevano sperato nelle barbabietole devono cambiare coltivazioni. C’è chi si butta nei carciofi. Io propongo a mio padre di provare col riso. Intanto (con la diga di Santa Chiara e con quella del Flumendosa) avevamo avuto la grande fortuna di disporre dell’acqua. Certo. In casa non erano convinti del cambio di destinazione d’uso ai terreni. Ma mi danno fiducia. Io sono terzo di tre figli, le mie sorelle fanno le insegnanti. E posso decidere. Mi fermo alla terza media, non avevo granché voglia di studiare, non mi attiravano né le scuole tecniche né quelle professionali. Ai libri preferisco i trattori. Mi appassionavo a lavorare prima con un Super Fiat 1000, poi col 670. Cerco soltanto di capire come si coltiva il riso. E viaggio soprattutto nel Nord Italia, parlo con i risicoltori, imparo. Il primo anno di raccolta è stato entusiasmante. Passava la gente e mi chiedeva che cosa stessi producendo. Quando parlo del riso non mi credono. E mi dicono: ma perché non continui col grano come hanno fatto tuo padre e tuo nonno?
Lavora nei campi e legge i libri. Capisce che la miglior zona risicola in Europa è l’Italia. Tra l’altro il nostro Paese è leader nella Ue con 200mila ettari, seguito dalla Spagna (114mila), residuale l’apporto delle altre nazioni (il Portogallo è a 23mila ettari, la Grecia a 20 mila e la Francia a 18.700). Curreli visita anche alcune risaie Oltralpe. Continua a imparare. Pionieri. Dalla teoria alla pratica. A San Gavino, tra l’altro, ci sono stati i pionieri. C’era già un’altra azienda che si era cimentata col riso, quella di Raimondo Sanna. E andava bene. Curreli segue l’esempio, osa e rischia. Primo anno di produzione il 1987 con 14 ettari. Tutto venduto. Il buon esempio viene imitato da altri agricoltori. Anno dopo anno Curreli incrementa gli spazi destinati alle sementi. Oggi sono arrivato a cinquanta ettari, la produzione è di 75 quintali per ettaro per circa 3800 quintali all’anno. Prima vendevo tutto il riso fuori casa. Poi mi son reso conto che potevo chiudere il processo produttivo, dovevo decidere di fare un po’ di investimenti. Avevo la fortuna, così come gli altri colleghi risicoltori di San Gavino, di operare in un ambiente sano, una limitatissima incidenza delle malattie. Non solo. Proprio per l’assenza di inquinamento, per la salubrità della natura, il nostro seme ha una eccellente capacità germinativa. Proseguo con una agricoltura tradizionale come metodo di conduzione. Perché controllo ovviamente le erbe infestanti, ma non faccio alcun uso di insetticidi. Non possiamo inquinare la terra che ci dà da mangiare. Marketing. Il prodotto, il suo confezionamento (anche la grafica è studiata e realizzata a San Gavino, by Riccardo Pinna).
E poi la commercializzazione, il marketing, merce purtroppo rara in Sardegna. Capita così che in molti punti della grande distribuzione in Sardegna, Gallura compresa, si può acquistare il riso sardo, quello precotto ma anche quello superfino (granello allungato e cristallino) da cucinare come i due tipi Carnaroli e aromatico. E c’è anche – per la prima volta – la farina sarda di riso, ottima per fritture di pesce e verdure, per le pastelle offrendo piatti più digeribili. In agricoltura occorre osare di più. La qualità del nostro ambiente dà garanzie anche ai consumatori che hanno diritto di trovare più Sardegna nei negozi. Se poi esportiamo va meglio. La Sardegna, come l’Italia, ha bisogno di produrre di più. Tornando alla terra.
LA NUOVA SARDEGNA 29/042013